La ricerca scientifica sul Parkinson parla italiano
La lunghezza della vita è sinonimo di salute e benessere? Non sempre.
Con l’aumento dell’aspettativa di vita e l’invecchiamento della popolazione sono aumentate anche le cosiddette malattie neurodegenerative che si caratterizzano per la perdita progressiva di neuroni e cellule nervose all’interno di sistemi neuronali specifici. Tra le più note vi sono il morbo dell’Alzheimer e il morbo del Parkinson.
Quest’ultimo è un disturbo cronico a progressione lenta e insorgenza tardiva (> 50 anni) dove la genesi è ricondotta alla distruzione/degenerazione dei neuroni dopaminergici al livello della Substantia Nigra di Sommering. Poiché questi neuroni sono deputati al controllo delle attività psicomotorie è chiaro che la sintomatologia di questa malattia comprenda: tremori degli arti, acinesia, bradicinesia (lentezza dei movimenti automatici) e rigidità muscolare.
Altri sintomi, non motori, possono riguardare disturbi neuropsichiatrici (depressione, lieve deficit cognitivo, disturbo comportamentale nel sonno), disturbi gastrointestinali, disfunzioni urinarie, disturbi sensoriali questo perché la malattia non colpisce solo le vie dopaminergiche come si pensava. Oggi, infatti, è noto che colpisce anche vie con neurotrasmettitori diversi per esempio la noradrenalina coinvolta nel controllo degli sfinteri e quindi nel controllo della minzione.
Ecco quindi spiegato uno dei sintomi non motori che può insorgere con la malattia.
L’eziologia è riconducibile a fattori genetici e fattori ambientali soprattutto il rischio di malattia aumenta con l’esposizione spesso lavorativa a tossine quali alcuni pesticidi o idrocarburi-solventi (per esempio la trielina) e in alcune professione come quella del saldatore che si ritrova continuamente a contatto con metalli pesanti quali il ferro, zinco e rame.
In ultimo l’intossicazione da magnesio e lo stress ossidativo. Secondo i dati del Ministero Della Salute in Italia le persone affette da Parkinson sono circa 230.000, la prevalenza della malattia è pari all’ 1-2% della popolazione sopra i 60 anni e al 3-5% della popolazione sopra gli 85 anni con incidenza maggiore per gli uomini. L’OMS ritiene infatti che il Parkinson, insieme ad altre malattie neurodegenerative entro il 2040 possa diventare la seconda causa di morte al mondo.
Essenziale è dunque il ruolo degli scienziati, ricercatori, per comprendere quali sono le cause e poter sviluppare nuovi medicinali per trattare le malattie e alleviare i sintomi. Nello specifico le ricerche che hanno riguardato il Parkinson si sono basate sull’aumento dei livelli di dopamina che risulta carente in questi pazienti affetti dal morbo per i motivi sopra citati.
La terapia di elezione è la somministrazione di Levodopa precursore delle dopamina stessa, poiché quest’ultima come tale non può essere utilizzata, le sue caratteristiche chimiche non permettono di oltrepassare la barriera emato-encefalica. Purtroppo questo farmaco non sempre funziona, soprattutto dopo terapia di anni, in quanto il cervello non riesce a utilizzare la dopamina in circolo.
È qui che entra in gioco una scoperta del tutto italiana di una nuova molecola quale la Safinamide che favorisce e potenzia l’attività della levo-dopa anche quando questa inizia a non essere del tutto efficiente. La molecola può essere considerata del tutto “made in Italy” scoperta all’inizio da Farmaitalia Carlo-Erba e poi passata alla Biotchnewron per lo sviluppo coadiuvata dal partner Zambon.
È il 1° trattamento per il morbo di Parkinson ad essere stato approvato dopo quasi 10 anni. Un ottima notizia per i malati di Parkinson e sicuramente per il nostro Paese. L’approvazione per l’immissione sul mercato della Safinamide da parte dell’agenzia europea del farmaco (EMA) conferma il grande valore della ricerca biotecnologica italiana e la capacità delle nostre imprese di sviluppare farmaci innovativi.
La Safinamide è un alfa amminoacido derivato somministrato per via orale. Gli studi condotti fin spiegano che la molecola agisca con un duplice effetto basato sull’incremento della funzione dopaminergica inibendo la MAO-B (enzima responsabile del catabolismo della dopamina stessa) e la riduzione dell’attività glutammatergica inibendo il rilascio di glutammato (principale neurotrasmettitore eccitatorio del sistema nervoso centrale) riducendo i tremori.
La somministrazione aggiuntiva al trattamento con levo-dopa di Safinamide al dosaggio di 50 o 100 mg die aumenta in modo significativo il tempo totale “on” (situazione di mobilità) e diminuisce il tempo “off” (improvvisa incapacità di muoversi) riducendo i sintomi della malattia stessa senza peggiorare la discinesia. Il nome commerciale della molecola è Xadago disponibile sotto forma di compresse, può essere ottenuto soltanto con prescrizione medica.
Ovviamente come tutti gli altri farmaci anche Xadago presenta degli effetti indesiderati che possono riguardare 1 persona su 10. Quest’effetti sono: insonnia, discinesia, sonnolenza, torpore, mal di testa, cataratta, ipotensione ortostatica, nausea e cadute. Il comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) valutando tutti questi effetti ha deciso che i benefici di Xadago sono superiori ai rischi .
È stato elaborato un piano di gestione dei rischi per garantire che il farmaco sia usato nel modo più sicuro possibile. Per maggiori informazioni sulla terapia con Xanago è sempre consigliato rivolgersi al vostro farmacista di fiducia.